La profondità della vita mentale passa anche (e non in piccola parte) per il rapporto con la corporeità. Muoversi molto, respirare consapevolmente, dare attenzione ad ogni azione e parte del corpo è importante per liberarsi dai contesti limitanti che conducono alla sofferenza inutile e autoinflitta. Non meno importante è l’atto di mangiare e bere. Il nutrimento che quotidianamente entra nel nostro corpo può portare energia ma anche fatica, benessere ma anche sofferenza, può preservarci in lunghi anni di equilibrio ottimale ma anche ucciderci lentamente giorno dopo giorno. Per questo motivo dalla sapienza antica come dalla scienza moderna emergono indicazioni di stili positivi che vanno tutti nella direzione di eliminare le dipendenze da quelle abitudini che come sassi pesanti ci trascinano inesorabilmente verso il basso, mentre siamo convinti di godere di un piacere che alla lunga si rivelerà inautentico. Sebbene sia meno ovvio, eliminare ogni possibile dipendenza significa anche eliminare l’eventuale dipendenza da quegli stessi principi aurei, prima che diventino fattori identificanti e quindi una prigione. In altri termini, mangiare e bere con gioia sempre, anche quando ciò implica una occasionale trasgressione.
Detto questo, è bene affermare esplicitamente che se l’eccezione è ammessa, la regola è ben altra. La carne innanzitutto; meno se ne mangia e meglio è. Si tratta infatti di una materia che ha ancora in sé la memoria della grande sofferenza degli attimi che precedettero la morte, e in qualche modo, quando la mangiamo quella sofferenza diventa nostra. È anche una materia che ha richiesto una lunga costruzione (dal sole, dall’acqua e dalla terra la pianta, dalla pianta l’animale) e che quindi richiede a noi una grande energia per poter essere nuovamente ridotta ai nutrienti fondamentali, energia che così viene tolta ad altre operazioni.
Vi è poi la semplicità dei cibi. Tutto quanto è inscatolato, confezionato, fatto per durare mesi o anni, non può che avere un effetto negativo sulle funzioni dell’uomo. Infatti ciò che vive è in continuo cambiamento per sua stessa definizione, e i processi di cambiamento non hanno termine neppure con la morte, anzi la corruzione è produzione di nuovi mattoni biologici elementari, cosicché post-morte e pre-vita finiscono per sovrapporsi in modo tale che non si distingue bene la fine di un individuo dall’inizio o il mantenimento di un altro. Com’è possibile allora bloccare la regolare dinamica di un processo di decomposizione senza un intervento altamente innaturale, e come tale contrario all’essenza stessa del vivente? Per lo stesso motivo è da privilegiarsi il prodotto che ha subito la minor quantità possibile di trattamenti e azioni : meglio il prodotto di stagione e che non viene da lontano, meglio l’agricoltura biologica.
Infine, nessuna analisi chimica o organolettica, potrà mai evidenziare la virtù di un cibo che è stato coltivato da noi stessi. È difficilmente spiegabile, ma la sensazione è chiara; quando dedichiamo tempo e attenzione a una pianta, e ci ricordiamo di lei ogni giorno per l’acqua e le usuali cure, e poi arriviamo a coglierne i frutti e finalmente a mangiarli, in quel momento e come se la natura ci restituisse ad un tasso di interesse strepitoso tutta l’energia spesa e le cure profuse.