La meditazione dà i suoi frutti (e non sono pochi), ma meditare con uno scopo non è corretto. Non sto dando un giudizio morale, non sto dicendo che cosa è giusto o sbagliato. La meditazione, per sua stessa natura, è immune dalle strumentalizzazioni. Ritirarsi spesso nella pratica della calma concentrata e della consapevolezza migliora i nostri rapporti, dissolve le ansie, facilita persino un miglioramento dello stato di salute. Ma chi, insoddisfatto della propria situazione e incuriosito da queste notizie, cercasse nella meditazione una strada al benessere sbaglierebbe. Questo non vuol dire che la curiosità e il desiderio di migliorarsi non possano essere una valida spinta iniziale, ma col procedere nel cammino tale spinta sfuma e si dissolve lasciando il posto ad un indistinto senso di soddisfazione, poiché ci si rende conto che la pratica è premio a sé stessa. D’altra parte, ogni desiderio – anche quello di superare i desideri – si troverà necessariamente ad interferire con la meditazione, che non è un’attività ma uno stato, in cui il superamento dei desideri e delle ansie che questi si portano dietro avviene in maniera naturale e senza forzature. Non esiste abilità nella meditazione; se scegliamo di abbracciare questa via, ci troveremo presto o tardi di fronte alla necessità di un riorientamento di tutta la nostra vita, per cui la meditazione permea ogni istante della nostra giornata, anche – e soprattutto – quando non stiamo praticando.
E in fondo, non è forse questo il carattere comune a ogni ricerca spirituale? Così scrive Meister Eckhart nel sermone Ogni dono migliore e ogni perfezione vengono dall’alto: «Sappi che se cerchi in qualche modo il tuo bene proprio, non troverai mai Dio, perché non cerchi soltanto Lui. Se cerchi qualcosa insieme a Dio, è proprio come se tu facessi di Dio una candela con la quale si cerca qualcosa, e quando si trova la cosa che si cerca, si getta via la candela.»