Può succedere (a me capita spesso) che un insegnante presenti un argomento facendo bene attenzione a non dare nulla per scontato, spiegando anche i minimi passaggi, insomma, mettendocela tutta, e poi verifichi che in quella classe dove per mezz’ora tutti sono rimasti ad ascoltarlo con aria assorta e a prendere appunti in religioso silenzio, solo un paio (magari sempre i soliti due) hanno colto più o meno vagamente il senso di tutta la spiegazione.
Si rimane invero un po’ delusi e ci si domanda se c’è qualcosa che non va in noi o in loro. In realtà quello che accade non è una banale questione di inadeguatezza; in quei momenti si toccano i limiti della conoscenza. Si tratta di limiti che affondano le radici nella natura stessa del linguaggio, nella componente soggettiva del profilo epistemologico che uno stesso termine ha per due persone diverse, in ultima analisi nell’imprevedibilità dei giochi linguistici. A volte è un significato che manca all’allievo senza che il professore abbia tenuto in conto questa possibilità; altre volte è invece un significato posseduto troppo stabilmente che non lascia spazio per interpretazioni differenti e più ricche. Talvolta insegnare significa fornire e costruire, più spesso togliere e smantellare. Chiarirò il concetto con un esempio. Quando si parla di numeri interi positivi un principio base è il fatto che non si possa sottrarre una quantità più grande da una più piccola; tuttavia nel caso degli insiemi è possibile sottrarre un insieme più grande da uno più piccolo (si tratta infatti di togliere al primo gli elementi che esso ha in comune con il secondo, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia più grande o più piccolo dell’altro). Se dunque non smantelliamo prima la convinzione che non si possa mai togliere una cosa più grande da una più piccola non si potrà capire la sottrazione tra due insiemi.
Il sistema di nozioni, pregiudizi, convinzioni di un individuo è come un paesaggio accidentato fatto di rilievi e avvallamenti nel quale chi insegna deve innestare nuove idee e concetti, e non ci sono due studenti con lo stesso paesaggio cognitivo. La cosa più importante ai fini dell’efficacia che un insegnante possa fare è proprio quella di acquisire il punto di vista dei suoi studenti e presentare gli argomenti non dalla propria bensì dalla loro prospettiva. Ci sono persone che hanno la capacità (innata o coltivata) di capire quello che gli altri provano, di vedere il mondo con gli occhi degli altri; questa capacità si chiama empatia e riguarda la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Io affermo che esiste un secondo tipo di empatia, che potremmo chiamare empatia cognitiva, che consiste nella capacità di considerare le situazioni dall’interno dei modelli di qualcun altro. È qualcosa di difficile e strano che trascende l’ambito ristretto dell’insegnamento, ma riguarda piuttosto quello della comunicazione umana e dell’eterno problema del capire e farsi capire