Rapito dalla vastità dell’Intero, quando riesco a calmare anche solo per poco le pretese di un ego che non tollera silenzio ed inazione. Nessuna lotta interna, però; sarebbe una lotta destinata alla sconfitta nello stesso momento in cui viene intrapresa. Nel tentativo di reprimere l’antico io spaventato dalla prospettiva di non lasciare traccia, tutto verrebbe coperto dall’ombra oppressiva di un oscuro maestro interiore che afferma la propria santità – e con essa l’eterna permanenza – nella capacità di distaccarsi, ridotta a pura abilità psicologica.
L’esercizio supremo della volontà, il più difficile, è la non-volontà. Così come la forma più alta di conoscenza è la dissoluzione della conoscenza stessa nell’Essere. E non vi è merito alcuno nel raggiungere il distacco puro ed assoluto, non più di quanto ne abbia un fiore ad aprirsi all’alba. Il premio di colui che accede alla buia luce della consapevolezza non può essere misurato con le parole e i valori della cultura della separazione e dell’illusione della (possibilità di) permanenza. Non è un diventare migliori degli altri, né vedere cose che per gli altri sono nascoste, e neanche visitare mondi sconosciuti ai più; vorrei tanto che così fosse, ma non è così. Il premio è rendere attuale un modo di essere in sé stessi e nel mondo che tutti gli uomini hanno, nella stessa misura, tra le possibilità del proprio essere. Tutto ciò che esiste nell’universo, infatti, costruisce il tempo tra il suo apparire strutturando una preesistente materia e il suo dissolversi liberando quella stessa materia per nuove strutture, muovendosi incessantemente verso un fine che consiste nella più ampia realizzazione delle sue possibilità. Un albero non è fatto per parlare, e non sarebbe felice di poter parlare. E l’uomo non fa eccezione.
Dunque, credevo che iniziando il cammino della meditazione le mie ansie sarebbero sparite; non è così, ma adesso riesco a vederle, le mie ansie. Credevo che le smisurate proiezioni del mio ego si dissolvessero permettendomi di dare il meglio nelle concrete situazioni quotidiane; non è così, ma adesso posso ricondurre con gentilezza il bambino fantasioso e ribelle alla realtà dell’adesso. Credevo che tutti i miei fratelli inquieti notassero immediatamente nei miei occhi la luce della saggezza e venissero a me come capre assetate ad una pozza; invece essi sono così rapiti dalle loro incessanti parole che quando sono con loro non riesco neanche ad aprire bocca, ma in fondo che cosa potrei dire loro di così importante da migliorare la loro vita? Se fossero in grado di ascoltarmi non avrebbero bisogno delle mie parole. Invece, io posso imparare da loro quanto sia difficile cambiare il mondo e le persone, e come in fondo tutto vada avanti anche senza di me; e questo non è cosa da poco. Speravo, infine, di scoprire una via di accesso privilegiata al mistero di Dio; tutto quello che ho raggiunto, però, è stata l’intuizione che ogni via precedentemente battuta, anche quelle più sottilmente spirituali, ricadono a terra come pesanti macigni, inquinate dalle nostre rappresentazioni.
Sfogliando gli innumerevoli aspetti della contingenza come petali di un fiore, dai più grossolani ai più reconditi, dalla mia sacca spariscono abilità, conoscenze, affetti, ricordi, sogni… il viandante nudo su una strada che non proviene né conduce poiché è già essa stessa meta si arrende alla luce del limpido meriggio e lascia finalmente che un pensiero nato altrove occupi gli spazi della sua mente ormai vuota: Nel progressivo dissolvimento dell’io nel Tutto si arriva fino alla soglia dell’infinito; poi, un altro passo, e il niente, il Nirvana, oppure l’Assoluta Trascendenza…