Grandi domande
Nessun insegnante sceglierebbe mai deliberatamente di essere poco efficace. Il motivo per cui alcuni lo sono è perché agiscono coerentemente con una determinata visione del ruolo della scuola nella società, conseguenza a sua volta di concezioni ancora più basilari sulla natura della conoscenza e, in ultima analisi, sull’idea stessa di Uomo. Insomma, per essere significativa, una riflessione sulle modalità di insegnamento della matematica dovrebbe prendere le mosse dalla domanda fondamentale: “cos’è la conoscenza?”, in particolare quella matematica.
Si potrebbe obiettare che per presentare la divisione tra polinomi a dei ragazzini di 14 anni non c’è bisogno di tirare in ballo questioni a cui usualmente si dedicano solo i filosofi di professione. In fondo, la stragrande maggioranza degli esseri umani non si pone proprio questi problemi. Ora, che nella maggior parte delle famiglie all’ora di cena non si parli della distinzione tra essenza ed esistenza è sicuramente vero, ma questo non vuol dire che ognuno di noi non abbia posizioni ben precise – anche se inconsapevoli – sulle questioni fondamentali. E questo non perché siamo tutti filosofi senza saperlo, ma perché non possiamo non averne.
Infatti, la realtà passa sempre attraverso il filtro della percezione e dell’interpretazione. Ciò non significa che è la coscienza a creare il mondo, ma solo che non ha senso chiedersi come il mondo è “in realtà”, indipendentemente da qualcuno che osserva. Se anche esistesse il mondo “così come é”, non ci sarebbe modo di capire se è uguale o diverso dal mondo percepito e descritto da un osservatore. Esiste infatti un modo di accedere alla realtà che non sia attraverso la porta dei sensi e dell’interpretazione di un soggetto cosciente? È come domandarsi se la luce del frigorifero rimane accesa anche dopo che uno ha chiuso la porta: per vedere se la luce è accesa devo tenere la porta aperta e quando chiudo la porta non posso più vedere se la luce è accesa o meno. […]
Modelli di realtà
Il formidabile vantaggio evolutivo di Homo sapiens sta tutto nella sua capacità di interpretare e prevedere. Non si tratta di un processo semplice. È qualcosa che negli stadi evolutivi anteriori non sarebbe stato possibile, poiché richiede una struttura cerebrale sufficientemente complessa da ricreare al suo interno catene di interazioni neuronali che riproducano in qualche modo le stesse dinamiche che avvengono fuori, nel mondo.
In primo luogo occorre osservare. Gli eventi e le cose che cadono sotto la percezione richiedono una classificazione più raffinata della semplice suddivisione in buono (cibo, acqua, accoppiamento, protezione, ecc.) e cattivo (fame, freddo, predatori, abbandono del gruppo, ecc.). È necessario cioè riuscire ad astrarre. Possono esserci in una cosa altri caratteri oltre a “buono” e “cattivo”? E può una stessa cosa cadere sotto categorie differenti a seconda del contesto in cui è inserita? Il grande sforzo nelle menti primordiali dei nostri lontani progenitori fu quello di creare classi a partire da cose che, pur essendo diverse tra loro, avevano aspetti comuni. Il passo più importante però fu quello successivo: ragionare su quelle classi come se fossero cose, vale a dire costruire relazioni tra concetti. Dapprima la relazione tra concetti viene riconosciuta a partire un certo numero di casi particolari, ma successivamente essa viene dedotta, cioè la sua validità non si basa più sull’osservazione ma sulla necessità logica. Ad esempio, tanto nei papiri egizi che nelle tavolette di argilla babilonesi troviamo un gran numero di esempi di triangoli rettangoli nei quali vale la nota relazione di Pitagora, ma è solo nel primo libro degli Elementi di Euclide che viene dimostrato che in qualsiasi triangolo rettangolo – indipendentemente dalle misure dei lati – la somma dei quadrati costruiti sui cateti è equivalente al quadrato costruito sull’ipotenusa. Il pensiero astratto è una porta che si apre su un nuovo universo. Le relazioni stesse possono infatti essere viste come cose tra le quali si stabiliscono nuove relazioni, e così via in un vortice senza fine verso l’alto. […]