L’intervista
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: non mi permette di parlare di me. In un tema posso raccontarmi, dire le cose che mi piacciono, ma in un esercizio di matematica non c’è nulla che riguarda me e la mia vita (Federico, 16)
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: non mi riesce e non mi è mai riuscita; ma non per questo mi sento inferiore o handicappata, ci sono un sacco di cose in cui sono veramente brava (Giulia, 18)
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: non se ne vede l’utilità; è solo costruzione mentale. La fisica è già diversa. Lì almeno si capisce di cosa si sta parlando (Dario, 19)
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: tutte quelle pagine di calcoli… lo sapevo che era facile sbagliare e quindi andavo piano piano, facendo tutti i passaggi senza saltarne neanche uno, ma tanto quando arrivavo in fondo il risultato non tornava mai (Simone, 35)
D: secondo te, perché la matematica fa schifo a tanta gente?
R: è più faticosa delle altre materie. Ci vuole molto più sforzo per arrivare in fondo a un problema che per altri tipi di esercizio. Però quando un risultato ti torna o capisci qualcosa è una bella soddisfazione (Giulia, 19)
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: gli esercizi non tornano mai, è facile sbagliare. Un tema invece non lo puoi mai sbagliare del tutto, qualcosa di buono riesci sempre a scriverlo (Carolina, 19)
D: perché la matematica ti fa schifo?
R: non sono mai riuscito a entrare nei suoi meccanismi. Quando ero a scuola mi si presentava come qualcosa di totalmente incomprensibile, non vedevo il perché andasse fatta una certa cosa piuttosto che un’altra (Adolfo, 48) […]
Il rifiuto
Da tutte queste risposte sembra di capire che il disagio verso la matematica ha non una sola ma diverse cause. Sicuramente, un aspetto rilevante è quello legato all’ansia indotta dai compiti in classe. In poco tempo dover svolgere esercizi complessi, con tante regole da applicare e tante cose di cui tener conto che se ti sforzi di ricordarne una poi te ne scordi un’altra… Soprattutto sembra che nei compiti vi sia un unico possibile procedimento, un solo modo giusto per svolgere l’esercizio. Se lo vedi subito puoi proseguire e arrivi al risultato, altrimenti non c’è speranza. Il fatto è che molte volte uno è ragionevolmente convinto di saper risolvere un certo tipo di esercizio: sei sicuro che in questi casi si fa così e così, ma ad un certo punto ti trovi in mezzo a numeri assurdi (“come può essere l’area uguale a radice di 737…?”), o calcoli che non sai da che parte affrontare (“è un triangolo ma non è rettangolo… non posso applicare il teorema di Pitagora… oddio, e ora che faccio…?”). È come essersi buttati in mare per raggiungere a nuoto uno scoglio che sembrava vicino e a mezza strada non farcela più. Troppo difficile per continuare, troppo tardi per tornare indietro e tentare un altro procedimento. A quel punto si avverte una spiacevole sensazione al livello dello stomaco e il cervello si rifiuta di continuare a pensare: è il panico. Le conseguenze di una esperienza come questa non sono di poco conto. Ci si sente fuori luogo, inadeguati. Si ha la sensazione di valere poco e si sviluppa una sorta di istintiva repulsione verso la matematica. […]